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delle filiere coinvolte.
Così come la tassazione dei sacchetti non biodegradabili sul finire degli anni ottanta era stato un tentativo di applicare un meccanismo esclusivamente dissuasivo, allo stesso modo l’applicazione della plastic tax, sia nelle intenzioni della Comunità Europea, sia nell’ottica che riguarda più da vicino il tessuto produttivo e commerciale Italiano, è una scelta che alla resa dei fatti non può che dividere.
L’obiettivo comune, stabilito dalla strategia europea per quanto riguarda le materie plastiche nell’economia circolare, non è cambiato di una virgola: trovare una soluzione per la crescente produzione di rifiuti plastici che rischiano di di- sperdersi nell’ambiente senza avere una seconda opportu- nità. Questa rincorsa ha portato all’ideazione di due tasse distinte, destinate a lavorare su piani differenti. Da una parte si trova l’Europa che si prefigge di raggiungere come obiet- tivo la produzione dei 10 Mt di materiali riciclati entro il 2025 e, soprattutto, la riciclabilità di tutti gli imballaggi di plastica entro il 2030. Dall’altra, le imprese italiane. Il timore per le imprese è ovviamente quello che i costi di produzione cre-
scano ulteriormente e per i consumatori, troppo spesso al- l’oscuro di tutto, è che parimenti possano essere l’ultima ruota del carro sulla quale si ripercuoterà questo aumento. Tornando al 2019 ed alle parole del Ministro Gualtieri in me- rito alle tre “R”, il rischio è allora che il tassare per ridurre ap- paia come una scorciatoia; che l’obiettivo della tutela ambientale risulti, agli occhi di coloro che muovono real- mente l’economia, depauperato ed associato ad un mero costo economico, quando in realtà i virtuosismi dell’econo- mia circolare, per come è stata concepita, si rendono evi- denti anche e soprattutto puntando sul recupero e sul riciclo.
  






























































































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