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La parola agli imprenditori: FIMIC

Il teamwork si tinge di green

Fimic è nata più di 55 anni fa -esordisce Erica Canaia, direttore vendite di Fimic- entrando però nel mondo del riciclo soltanto negli anni ottanta grazie a mio padre che indirizzò l’attività verso il mercato della costruzione di ghigliottine per il taglio di balle e bobine di scarto industriale. Nata come un’officina meccanica, mio padre entrò in contatto con riciclatori che avevano bisogno di migliorare i loro macchinari; fu quindi una cosa abbastanza naturale applicarsi per andare a soddisfare le necessità in questo senso osservate. Nel 1996 la decisione di migliorare il processo di filtrazione (all’epoca completamente manuale) e, nel 1998, installammo il primo raschiamento FIMIC. Praticamente tutte le nostre tecnologie, dalle ghigliottine ai cambia filtri, sono pensate per aziende del riciclo ed inserite negli impianti di produzione per eliminare la contaminazione presente nelle MPS post-consumo e post-industriale. La nostra attività – prosegue Erica entusiasta- ha vissuto negli ultimi anni una rapidissima espansione, sia perché è stata implementata la funzione commerciale, sia perché una delle priorità del mondo economico (e non solo) è stata sempre di più quella del muoversi in un’ottica di riciclo. Oggi vantiamo una pluriennale esperienza nel campo meccanico, adattata col tempo al settore plastico e cartaceo. Personale e fatturato sono costantemente in crescita e il 95% del prodotto viene progettato, costruito e assemblato internamente nel nostro stabilimento.

Crediamo nell’assoluta necessità di aumentare la riciclabilità dei prodotti e di ridurre l’inquinamento, essendo noi tutti fermamente convinti che la sostenibilità ambientale sia la chiave del progresso. L’obiettivo di FIMIC allora è proprio quello di offrire prodotti che permettano un riciclo dei materiali sempre più efficace e risolutivo.

Erica Canaia

E poi occorre far combaciare queste visioni con gli ostacoli che ogni giorno il mondo del riciclo deve affrontare. Parliamo allora di difficoltà. Quali ha incontrato Fimic nel corso degli ultimi dodici mesi? La pandemia ha cambiato il modo di lavorare della tua azienda? Ha aperto nuove porte, chiudendone altre?

In questi ultimi mesi la difficoltà sta nell’impossibilità di incontrarsi a livello personale ovviamente; il contatto umano manca a tutti. Fortunatamente, rispetto a pandemie di cento anni fa ora abbiamo la tecnologia che ci sta aiutando tantissimo.

Agilmente gli incontri si riescono a fare anche da remoto ed è stato un escamotage per poter comunque proseguire nel lavoro. Ovviamente anche le fiere di settore ci mancano, così come ci mancano le visite. Per quanto riguarda il mondo del riciclo, vedo un rallentamento da parte dei legislatori, proprio nel momento in cui tutti stavano prendendo coscienza della improrogabile necessità di riciclare, ora più che mai. Mi auguro che si torni a discuterne molto velocemente e che vengano definite a livello legislativo delle azioni rapide, dei finanziamenti (anche a livello europeo) che aiutino i riciclatori ad aumentare le tonnellate annue di riciclo e permettano infine di fare una selezione diversa, migliore, che permetta di riciclare al meglio.

Fortunatamente, tutto il lavoro che abbiamo svolto in precedenza ci ha permesso di raggiungere buoni risultati anche in questo momento, ci siamo soltanto tarati in maniera diversa. Abbiamo implementato i webinar quindi stiamo dando più consulenza anche ai nostri clienti. Cerchiamo di essere presenti da remoto anche a livello di installazioni (ben 56, ndr) che fino a due anni fa sarebbero state improponibili.

Ci siamo riscoperti più flessibili, più reattivi, rapidi nel rispondere alle esigenze dei clienti. Dalla nostra, abbiamo avuto il fatto che il riciclo si è dimostrato una volta ancora estremamente necessario, ancora di più durante questa pandemia poiché sono aumentate le produzioni di certi manufatti in conseguenza di una crescita nei consumi ad essi collegati. Per quanto riguarda le interazioni con il resto del mondo, paradossalmente le distanze si sono ridotte.

Se prima l’unico modo di gestire efficacemente i rapporti era il prendere un aereo ed andare a parlare di persona, attualmente la tecnologia ci permette di fare più meeting con paesi diversi nella stessa giornata; da questo punto di vista, possiamo dire di essere diventati più internazionali. Le distanze si sono in questo senso ridotte un po’ per tutti, perché tutti in questa situazione siamo alla stessa stregua e ci sentiamo un po’ più legati gli uni agli altri. Anche per questo, al netto di tutto, io son comunque convinta che ne usciremo più forti di prima.

Appare evidente quanto far sentire la propria voce ed interagire con altre voci sia per te fondamentale. La domanda allora è: quale può essere un modo per dare più voce agli operatori nel campo del riciclo? Una rivista come rePlanet può servire a questo scopo?

Sicuramente io credo nella comunicazione, nei social ed in tutto ciò che nasce per fare comunicazione, magazine compresi.

Negli ultimi dieci anni in azienda ho implementato moltissimo il lato comunicazione per poter meglio mostrare ai clienti chi siamo e quello che facciamo. Credo che magazine e social siano strumenti primari che ogni azienda dovrebbe inserire nel proprio budget e nella propria visione, senza dubbio alcuno. La mia opinione sui magazine è che debbano trattare ogni aspetto a 360° e dare voce ad un settore come quello del riciclo che attualmente non è specificamente rappresentato a livello di magazine.
Particolare di un filtro

Sono estremamente favorevole e positiva in merito alla riuscita di una pubblicazione come rePlanet, poiché credo sia fondamentale avere una sorta di piattaforma di confronto, con interviste, argomentazioni tecniche, normative, risvolti sociali e comportamentali legati alla questione delle materie plastiche riciclate. Tutto ciò al fine di instaurare un circolo virtuoso, partendo dalla discussione tra tutti i soggetti coinvolti nel settore che, fino ad oggi, non hanno una “piazza” sulla quale incontrarsi per un dialogo costruttivo.

C’è un argomento in particolare del quale vorresti sentir parlare maggiormente?

Più che di un argomento, vorrei sentir parlare di più i riciclatori stessi. Avendo venduto molte macchine ai riciclatori, abbiamo avuto a che fare soprattutto con i capi produzione di queste aziende. Ecco, queste figure, al di là degli imprenditori e dei manager che rappresentano l’immagine dell’azienda e ne sono depositari, custodiscono un pozzo di scienza senza avere quasi mai voce. Quello che ho imparato negli ultimi anni lo devo essenzialmente a queste figure tecniche, troppo spesso nell’ombra. Vorrei si facesse qualcosa affinché non fosse più così.

Non possiamo allora fare a meno di chiederti: quali altri desideri, quali ideali modellano la tua etica lavorativa e quella della tua azienda?

Fimic crede molto nel lavoro di squadra, tutto quello che abbiamo realizzato negli ultimi dieci anni nasce da questo spirito. Quando siamo partiti eravamo in poche persone, ora siamo in trenta. Se non si crea squadra non si arriva ai risultati ottenuti, di questo ne sono assolutamente certa. Ho sempre creduto -e credo- nel fatto che l’essenza di Fimic non risieda in una persona sola, Fimic è un insieme di persone che remano insieme verso la soddisfazione del cliente. Questo secondo me ha portato Fimic ad avere un posto di rilievo nel proprio settore: il cliente si sente seguito, ed è questo che io richiedo a tutti i miei collaboratori. Desidero che ognuno di loro veda in questa prospettiva il lavoro di tutti i giorni, perciò per me questo è il valore principale, credere nella squadra, credere nel gruppo. Il prodotto funziona se dietro ci sono delle persone che a loro volta funzionano all’interno del progetto di squadra, fino a dargli un enorme valore aggiunto.

Continuiamo a parlare di etica, però contestualmente al mondo del riciclo e all’approccio che le persone hanno ad esso. Come vedi le prossime generazioni?

Credo che gli anni duemila abbiano spinto ancora di più il consumismo. Questo si è tradotto, per mancanza di cultura e sensibilità, nel consumare e gettare anziché riutilizzare. Diciamo che il riciclo riprende una filosofia di molti anni fa: riparare qualcosa che non funziona. Naturalmente, ad oggi “riparare” certe cose risulta ancora non conveniente a livello economico e perciò poco sensato, però dobbiamo pensare che il riciclo porta risultati non solo a livello economico ma anche, e soprattutto, a livello ambientale. È una questione mentale: trovare valore dove invece qualche stereo

tipo ci direbbe che non ce ne sia, è un modello di business da insegnare, partendo assolutamente dalle nuove generazioni, già da bambini. Perché è proprio lì dove il bambino avrà un riscontro, dove troverà un qualcosa fuori dagli schemi, che sarà il successo di questo modo di pensare. Io insegnerei ad un bambino che riciclare significa pensare fuori dagli schemi, perché a fare un prodotto nuovo di zecca sono capaci tutti. Ancora più importante, allora, sarà dar vita a nuovi prodotti con la plastica riciclata e su questo noi dobbiamo puntare per i consumatori del futuro.

Le nuove generazioni avranno il compito di raccogliere un’eredità importante e migliorarla giorno dopo giorno, compensando l’esperienza che ancora non hanno con la voglia di informarsi e prendere consapevolezza del fatto che è assolutamente possibile vedere un valore dove ora non c’è. Allo stesso modo Fimic ha fatto tesoro delle tradizioni, della maestria e del sapere che l’ha resa forte nel tempo ed oggi è una realtà giovane che guarda al domani con l’entusiasmo di chi vuole lasciare il segno. Il nostro pianeta, non dimentichiamolo, ha bisogno anche di questo.

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