HomeNormativaUn’ armonizzazione fiscale sul mercato comune è un miraggio?

Un’ armonizzazione fiscale sul mercato comune è un miraggio?

Mentre la Commissione Europea inizia a sviluppare i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto, i diversi approcci alle leve della tassazione sulla plastica continuano a far parlare di sé.

L’approvazione dei decreti End Of Waste è ormai da tempo un crocevia fondamentale per l’effettiva transizione verso l’economia circolare. Se si considera, infatti, il riciclo come elemento cardine di un sistema economico in grado di intervenire sul reperimento delle risorse, trasformando il rifiuto in un bene, si può comprendere quanto sia importante stabilire a che condizioni, e per quali scopi, uno scarto cessi di essere tale per diventare materia prima secondaria oppure prodotto.

La definizione dei criteri per i quali un rifiuto possa essere considerata una risorsa è, come noto, di competenza delle autorità, visto l’interesse pubblico del tema: spetta all’Unione Europea e ai singoli stati membri -in assenza di intervento normativo comunitario- legiferare a tal proposito, fornendo agli operatori uno strumento indispensabile per permettere l’effettiva re-immissione sul mercato dei materiali riciclati.

Tuttavia, nonostante la centralità del ruolo dei decreti End Of Waste in quanto perno dell’economia circolare, l’atteggiamento a tal proposito è stato fino ad oggi caratterizzato da una sostanziale lentezza: per il momento, infatti, sono state stabilite le condizioni di cessazione della qualifica di rifiuto soltanto per alcune categorie, attraverso interventi normativi nazionali o europei.

Sul fronte dei rifiuti provenienti da materie plastiche, stando a quanto pubblicato nel comunicato dell’Esecutivo UE dello scorso 5 aprile come parte del piano d’azione per l’Economia circolare, la Commissione europea ha definito i flussi di rifiuti prioritari in plastica (e tessili) destinati ad essere oggetto di un regolamento europeo per l’End Of Waste, che fisserà criteri uniformi a livello Comunitario sulla cessazione della qualifica di rifiuto.

La Commissione ha completato quindi la sua valutazione dell’ambito di applicazione per individuare l’elenco prioritario dei flussi di rifiuti per lo sviluppo di ulteriori criteri: nell’ultimo anno e mezzo, la Commissione ha svolto un esercizio di definizione dell’ambito di applicazione che comprendeva uno studio pubblicato nel 2020 a cui hanno fatto seguito una consultazione delle parti interessate ed un workshop on-line il 14 e 15 settembre 2021, in cui la Commissione ha presentato il progetto in corso di definizione, le informazioni raccolte, nonché i risultati preliminari.

La relazione che ne è conseguita ha individuato i flussi che meglio rivestono il ruolo di “candidati” e per i quali potrebbero essere sviluppati ulteriori criteri di cessazione della qualifica di rifiuto sulla base di una metodologia sviluppata per garantire un reale valore aggiunto.

La valutazione si è basata sui dati e sulle informazioni forniti durante il periodo di consultazione delle parti interessate. Per quanto riguarda le plastiche, i flussi candidati a cui dare priorità sono i seguenti:

  • polietilene tereftalato recuperato/riciclato da rifiuti plastici;
  • polietilene a bassa e alta densità recuperato/riciclato dai rifiuti plastici;
  • rifiuti di plastica mista recuperati/riciclati da rifiuti plastici;
  • polistirene e polistirene espanso recuperati/riciclati da rifiuti plastici;
  • plastica propilenica recuperata/riciclata dai rifiuti plastici.

Nel secondo trimestre di quest’anno la Commissione europea e il Joint Research Centre (JRC) inizieranno a definire i criteri End OF Waste con l’obiettivo di finalizzarne la valutazione tecnica entro il primo trimestre del 2024.

Mentre la macchina dei legislatori lentamente si muove, il 2 marzo scorso a Nairobi 175 Stati membri delle Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione alla quinta sessione dell’Assemblea per l’ambiente, allo scopo di creare un comitato negoziale intergovernativo e poter così iniziare a lavorare sulla creazione di un accordo internazionale giuridicamente vincolante entro la fine del 2024, al fine di affrontare l’inquinamento da rifiuti plastici.

Nell’attesa che i dettagli in merito all’esatta portata di questa sorta di “trattato sulla plastica” vengano delineati con maggior precisione, è significativo quanto la risoluzione delle Nazioni Unite abbia ricevuto un forte sostegno multilaterale -in modo cruciale, dai principali Stati membri produttori di plastica come Stati Uniti e Cina- e, se firmato e ratificato dagli Stati membri, il trattato promette di essere un punto di riferimento, un accordo globale, unico nel suo genere, progettato per affrontare l’intero ciclo di vita della plastica, compresa la sua produzione, progettazione e smaltimento, con l’obiettivo dichiarato di ridurre i rifiuti e l’inquinamento che troppo spesso ne consegue.

Questo passo decisivo, compiuto dalla comunità internazionale, è l’ultimo di una serie di iniziative intraprese da diversi gruppi e Paesi che riconoscono la portata del problema della proliferazione dei rifiuti di plastica negli ultimi decenni ed i significativi pericoli ambientali presentati dall’inquinamento da plastica.

In Europa, la questione dei rifiuti di imballaggio in plastica è stata in prima linea nel pensiero dei decisori politici a livello regionale e nazionale. Come ben noto e già più volte esaminato, ad inizio dello scorso anno l’UE ha introdotto una tassa basata sulla quantità di rifiuti di imballaggio in plastica non riciclati prodotti da ciascuno Stato membro dell’Unione. La tassa è concepita, anche questo è risaputo, per ridurre la proliferazione dei rifiuti di plastica non riciclati, finanziando contemporaneamente il bilancio dell’UE per il periodo 2021-2027, anche e soprattutto sullo sfondo dell’aumento della spesa derivante dalla pandemia da Covid-19.

Ogni Stato membro è tenuto a pagare un prelievo, determinato moltiplicando un’aliquota di 0,80€/Kg calcolata sul peso dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati. Qui è poi giunto il distinguo, Paese per Paese: mentre alcuni Stati membri stanno attualmente pagando il prelievo con i propri bilanci nazionali, altri hanno introdotto (o stanno cercando di introdurre) nuove tasse, dazi, oneri, contributi sui prodotti di plastica oppure hanno già esteso (o stanno considerando di estendere) i regimi esistenti per tassare anche i prodotti in plastica.

Inoltre, alcuni paesi europei non UE hanno anche iniziato a prendere di mira l’uso di prodotti in plastica nel tentativo di ridurre i rifiuti e passare così al modello economico circolare attraverso questa soluzione.

Tra gli Stati membri che hanno attuato una sorta di tassazione sulla plastica è però possibile osservare quanto la struttura fiscale sia notevolmente variabile: alcuni si stanno concentrando sugli imballaggi (sia imballaggi in plastica che non), mentre altri hanno una portata più ristretta, mirando solo alla plastica monouso o non riutilizzabile.

Alcuni Paesi impongono un’imposta sui prodotti in plastica di provenienza nazionale ed estera, mentre altri Stati membri si affidano a un meccanismo di accisa per colpire esclusivamente i prodotti di plastica di origine straniera. Anche l’elenco dei prodotti esenti differisce da uno Stato membro all’altro.

Fondamentalmente quindi, l’aliquota dell’imposta varia da uno Stato all’altro, con alcuni che scelgono di non riscuotere del tutto l’imposta.

Ciò che emerge è quindi un mosaico di norme nazionali non coordinate che richiedono un attento esame da parte delle imprese che operano in più Stati membri. Da questo punto di vista, la legislazione armonizzata dell’UE in materia di tassazione per razionalizzare gli attuali regimi fiscali nazionali sulla plastica sarebbe senza dubbio un importante risparmio per le imprese e va detto che tale intervento sarebbe accolto con favore; tuttavia, nonostante la sua attrattiva, l’introduzione di un’accisa a livello Comunitario non è affatto semplice, dato il principio dell’unanimità in materia fiscale ai sensi del diritto dell’UE.

Poiché il volume dei rifiuti di plastica e i tassi di riciclaggio differiscono sostanzialmente da uno Stato membro all’altro, sarebbe da mettere in conto un lungo processo di negoziati e compromessi prima di poter raggiungere un accordo a livello Comunitario. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero anche concordare all’unanimità gli adeguamenti di una direttiva fiscale sulla plastica: i difficili e prolungati negoziati alla base delle revisioni della direttiva sulla tassazione dell’energia forniscono in tal senso un’indicazione delle sfide legate all’avvio di un’impresa così ambiziosa, soprattutto perché non vi è un reale consenso sull’opportunità o meno di tassare i prodotti di plastica e, in caso ci fosse, il tipo di prodotti di plastica da tassare.

Infine, in linea con il principio di sussidiarietà del diritto dell’UE, gli Stati membri dovrebbero, come punto di partenza, essere autorizzati a determinare le misure più appropriate da attuare a livello nazionale per ridurre i rifiuti di imballaggio di plastica, e quindi l’intervento dell’UE in questo campo non dovrebbe essere la prima ed unica via da percorrere.

Alla luce di tutti questi possibili passi falsi e complicanze, l’armonizzazione delle norme sulla tassazione della plastica in tutto il mercato comune, sebbene auspicabile, sembra essere allora una prospettiva quantomeno improbabile nel prossimo futuro.

Le imprese, d’altro canto, faranno tuttavia cosa saggia a rimanere al passo con gli sviluppi e seguire l’evoluzione del panorama normativo e fiscale, in modo da garantire che le stesse non operino in contrasto con le norme nazionali applicabili e non siano soggette a procedimenti di esecuzione o sanzioni pecuniarie per inadempienza.

In termini di operazioni aziendali, l’esistenza di una tassa sulla plastica potrà avere implicazioni di ampio respiro sui processi e sulle procedure interne di un’impresa. Come passo preliminare, l’impresa dovrà familiarizzare con i tipi di imposta sulla plastica che vengono riscossi in ogni paese in cui opera e accertare quale delle sue entità locali è tenuta a pagare l’imposta.

Anche i dipartimenti fiscali e legali dell’impresa dovrebbero essere preparati a supportare gli obblighi di conformità aggiuntivi. L’impresa dovrà anche essere in grado di individuare i tipi di materiali o prodotti soggetti a tassazione all’interno della sua catena di approvvigionamento e anche i suoi sistemi di gestione del rischio aziendale dovranno essere adattati per gestire questi requisiti di conformità.

In poche parole, per l’ennesima volta, la parola d’ordine è “vigile attesa”.

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