Plastic tax Europa-Italia, nuovamente prorogata l’entrata in vigore della tassa italiana
Quando parliamo di Plastic tax europea ed italiana occorre inquadrare l’introduzione della norma nel più ampio panorama delle nuove misure dell’Unione Europea poiché, a conti fatti, dal Piano dell’Unione Europea per l’economia circolare (2015) sono già passati sei lunghi anni e molto si è mosso lungo l’asse Europa-Stati membri nel perseguimento di un’economia finalmente circolare in luogo di un’economia lineare.
Agli inizi del 2018 la Commissione europea approva la Strategia europea per la plastica nell’economia circolare per intraprendere azioni concrete volte ad affrontare i problemi ambientali connessi alla produzione della plastica, nonché ai suoi usi e consumi.
Nel giugno 2019, in GU Europea viene pubblicata finalmente la direttiva UE 2019/904, conosciuta con il nome di direttiva SUP (Single Use Plastics), destinata a ridurre e prevenire l’impatto ambientale di determinati manufatti in plastica non riciclabili in presenza di alternative disponibili. Questo sembra porre fine a prodotti come: piatti, posate, cannucce, contenitori in polistirene espanso destinati al consumo mono uso di cibi e bevande (con rispettivi tappi e coperchi) e prodotti realizzati con plastica oxo-degradabile.
Gli Stati membri sono stati altresì chiamati adottare misure volte a ridurre il consumo di alcuni prodotti in plastica monouso per i quali non esiste al momento alternativa, avendo, dalla pubblicazione in Gazzetta Unica, due anni di tempo per recepire la Direttiva nelle proprie legislazioni.
Va sottolineato a questo punto un particolare: alcuni Stati membri dell’Unione Europea, già prima della Direttiva utilizzavano una leva fiscale di tipo tassativo per indirizzare il comportamento dei propri cittadini verso una riduzione nell’utilizzo di specifiche tipologie di materiali plastici. Secondo uno studio dell’OCSE effettuato nel 2019, in tal senso infatti Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Paesi Bassi e Slovenia già avevano intrapreso questa strada, seppur con modalità, importi e meccanismi applicativi eterogenei fra loro.
L’Italia, dal canto suo, già nel lontano 1988 tentò di incentivare l’utilizzo di materiali “biodegradabili” (legge 478/1988) introducendo una tassa sui sacchetti in plastica non biodegradabili che prevedeva l’assoggettamento di 100 lire per ogni shopper non biodegradabile. Nonostante la tassazione sortì in effetti un effetto deterrente (tanto che l’uso dei sacchetti scese di oltre il 30%), la legge n. 427 del 1993, tuttavia, abrogò questa disposizione.
A novembre 2019, il Ministro dell’Economia e delle Finanze Gualtieri, in occasione dell’audizione nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del disegno di legge di bilancio per il triennio 2020-2022, sottolineò l’importanza del provvedimento appena varato:
“La cosiddetta Plastic tax è quella che introduce un’imposta sulle plastiche monouso, che sarà applicata su imballaggi e contenitori, ma non riguarderà la plastica compostabile e alcuni prodotti sanitari e naturalmente non riguarda nessun oggetto di plastica che sia mono uso. È un’imposta che è stata immaginata esclusivamente su un tipo di plastica, monouso non compostabile, che deve essere ridotta. Esistono direttive europee che vieteranno fra poco alcuni oggetti prodotti con plastica monouso e quindi è ragionevole che si utilizzi anche la leva fiscale per incentivare e sostenere una graduale riduzione della plastica monouso, che va ridotta. Non solo ridotta, anche riciclata. Esistono le tre ‘R’, riduzione, riciclo e riuso e noi dobbiamo sostenerle tutte, quindi è giusto che anche il riciclo debba essere incentivato ulteriormente”
Nonostante le dichiarazioni di intenti degli Stati membri siano state in larga misura sulla falsariga di quelle rilasciate dalla Commissione Europea, le specifiche del provvedimento hanno in realtà provocato reazioni di segno discordante nei vari Paesi, con domande immediate sulle modalità di calcolo, sulla sua applicazione nella filiera, e sulla possibilità che questo provvedimento susciti discrepanze normative ancora maggiori riguardo alle materie plastiche.
Nel concreto, la nuova Plastic tax Europea, calcolata in 800 €/t, verrà applicata a tutti i rifiuti plastici da imballaggi non riciclati, calcolandone il peso come differenza tra il peso dei rifiuti di imballaggio di plastica prodotti in uno Stato membro in un determinato anno e il peso dei rifiuti di imballaggio di plastica riciclati nello stesso anno, determinato a norma della direttiva 94/62/CE e dovrà essere versata dagli stati membri dell’Unione Europea a partire dal 1° gennaio 2021. I contributi nazionali verranno calcolati dalla Commissione Europea in base agli obblighi di comunicazione già imposti dalla Direttiva sui Rifiuti da imballaggio (Direttiva 94/627CE) e dalla relativa Decisione di Esecuzione (Decisione UE 2019/665).
Per l’Italia, uno degli Stati membri ai quali la Commissione ha riconosciuto l’applicazione di una riduzione forfettaria annua (decisione UE 2020/2053) l’ammontare da detrarre forfettariamente ogni anno è stato determinato in poco più di 184 M€. Considerando che secondo il Programma generale di prevenzione nel 2019 sono stati immessi al consumo 2,315 Mt di imballaggi in plastica e ne sono stati avviati al riciclo il 45,5%, ciò comporta che nello stesso anno non sono state riciclate 1,261 Mt. Ossia, detratta la quota forfettaria significa per l’Italia un prelievo di quasi 825 M€/a.
Si osserva, poi, che la direttiva 94/62/CE (imballaggi e rifiuti di imballaggio), come poi successivamente modificata e integrata, non fa distinzione tra le diverse tipologie e caratteristiche dei polimeri plastici, pertanto rientrano nel campo della tassazione anche i rifiuti di imballaggi di bioplastica non riciclati. La combinazione tra il regolamento Reach e la direttiva imballaggi non permette infatti di diversificare un polimero da fonte fossile rispetto a uno ottenuto da biomassa (l’art. 3 della Direttiva SUP stabilisce che gli unici polimeri esclusi dal suo campo di applicazione sono quelli naturali, non modificati chimicamente. Nel caso delle stoviglie, non sono ammessi neanche i manufatti realizzati in materiale poliaccoppiato).
La Plastic tax Europea, come detto, impatta a livello degli Stati membri. Le filiere italiane delle aziende produttrici di manufatti plastici dovranno invece a loro volta far fronte ad una Plastic tax italiana, analoga nelle intenzioni e al contempo concettualmente differente in quanto nata non con l’intento di emulare la tassa europea, bensì sull’onda della Direttiva SUP (peraltro non ancora recepita, stante il disegno di legge approvato in prima istanza solamente al Senato).
L’imposta, così prevista dalla Legge di Bilancio 2020 (legge 160/2019, art.1 c.634), si applica al consumo dei manufatti realizzati con materiale plastico aventi funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci ovvero prodotti alimentari (anche in forma di fogli, pellicole o strisce) che siano stati ideati ed immessi sul mercato per un singolo impiego. Prodotti, dunque, progettati per non essere riutilizzati o per sostenete più utilizzi durante il loro ciclo di vita. Tali manufatti sono stati definiti, analogamente all’utilizzo del termine comunitario SUP, con la sigla MACSI (Manufatti in plastica con Singolo Impiego).
La Plastic tax Italiana, considerata a tutti gli effetti un’imposta sul consumo dei prodotti in plastica con singolo impiego e non riciclabili, anche laddove accompagnata da incentivi per le aziende produttrici di manufatti in plastica biodegradabile e compostabile, graverà infatti sulle aziende produttrici per 450 euro ogni tonnellata di plastica prodotta (compreso il tetra-pak) ad esclusione dei manufatti compostabili, dei dispositivi medici e dei MACSI adibiti a contenere e proteggere medicinali. Il disegno di legge che dovrebbe recepire la Direttiva, modifica infatti la lista dei SUP e sdogana come utilizzabili i materiali biodegradabili, a differenza di quanto prescritto nell’art.3 della Direttiva stessa.
I soggetti obbligati a versare la Plastic tax sono numerosi: per quanto riguarda i MACSI fabbricati in Italia, spetta al fabbricante oppure al committente, in conto lavoro, di MACSI; per i prodotti provenienti da altri Paesi dell’Unione europea, spetta al soggetto che acquista MACSI (nel caso di vendite B2B) oppure al cedente (nel caso di vendite B2C) a consumatori privati in Italia; per quanto riguarda invece i prodotti provenienti da paesi terzi, la responsabilità ricade invece sull’importatore. L’accertamento dell’imposta avviene sulla base di dichiarazioni trimestrali presentate all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli entro la fine del mese successivo al trimestre solare cui la dichiarazione si riferisce. Entro lo stesso termine, deve essere effettuato il versamento dell’imposta dovuta.
Inizialmente l’entrata in vigore della tassa italiana era prevista per luglio 2020, in seguito posticipata, come da Decreto Rilancio n.34 del 2020, al 1° gennaio 2021. Poco prima dell’entrata in vigore, è stata ulteriormente posticipata di sei mesi a causa delle condizioni di difficoltà in cui vertono le imprese delle filiere interessate dalla tassazione, a seguito del perdurare della pandemia da Covid-19.
In ultima stesura, la nuova Legge di Bilancio 2021, previsto alcune integrazioni in vista dell’attivazione a partire dal 1° luglio del corrente anno. Tra le altre, viene modificata la definizione di MACSI semilavorati, includendo anche le preforme, viene fissata a 25 euro (anziché 10) la soglia di esenzione dell’imposta derivata dalle dichiarazioni trimestrali (l’importo minimo dovuto, in corrispondenza o al di sotto del quale l’imposta non deve essere versata) e vengono rimodulate le sanzioni previste per i mancati adempimenti.
Il governo Draghi ha negli scorsi mesi preso il posto del governo Conte e presumibilmente toccherà al neonato Ministero della Transizione ecologica accompagnare una Plastic tax che muoverà i primi passi, scontrandosi con tutte quelle che saranno le implicazioni pratiche, gli umori e le risposte delle filiere coinvolte. Per il momento, pareri favorevoli e reazioni discordanti dovranno attendere ancora. Di nuovo. Con il decreto Sostegni bis, in attesa del testo che verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale (e dopo il via libera del governo, arrivato lo scorso 20 maggio) l’ultima bozza precedente all’approvazione del decreto prevede infatti una nuova, ulteriore proroga della Plastic tax di altri sei mesi, ovvero al 1° gennaio 2022. Anche in questo caso, la proroga è adottata “in considerazione delle contingenti e difficili condizioni in cui versano i settori economici, che sarebbero gravati dall’imposta, in connessione al protrarsi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”, così come recita la relazione illustrativa.
Ciò che tuttavia permane, nonostante il “quando” sia a questo punto meno prevedibile del “come”, sono ancora gli interrogativi sui perché. E valgono tanto per la versione europea quanto per quella squisitamente nostrana.
Così come la tassazione dei sacchetti non biodegradabili sul finire degli anni ‘80 era stato un tentativo di applicare un meccanismo esclusivamente dissuasivo, allo stesso modo l’applicazione della Plastic tax, sia nelle intenzioni della Comunità Europea, sia nell’ottica che riguarda più da vicino il tessuto produttivo e commerciale italiano, è una scelta che alla resa dei fatti non può che dividere.
L’obiettivo comune, stabilito dalla strategia europea per quanto riguarda le materie plastiche nell’economia circolare, non è cambiato di una virgola: trovare una soluzione per la crescente produzione di rifiuti plastici che rischiano di disperdersi nell’ambiente senza avere una seconda opportunità. Questa rincorsa ha portato all’ideazione di due tasse distinte, destinate a lavorare su piani differenti.
Da una parte si trova l’Europa che si prefigge di raggiungere come obiettivo la produzione dei 10 Mt di materiali riciclati entro il 2025 e, soprattutto, la riciclabilità di tutti gli imballaggi di plastica entro il 2030. Dall’altra, le imprese italiane. Il timore per le imprese è ovviamente quello che i costi di produzione crescano ulteriormente e per i consumatori, troppo spesso all’oscuro di tutto, è che parimenti possano essere l’ultima ruota del carro sulla quale si ripercuoterà questo aumento.
Tornando al 2019 ed alle parole del Ministro Gualtieri in merito alle tre “R”, il rischio è allora che il tassare per ridurre appaia come una scorciatoia; che l’obiettivo della tutela ambientale risulti, agli occhi di coloro che muovono realmente l’economia, depauperato ed associato ad un mero costo economico, quando in realtà i virtuosismi dell’economia circolare, per come è stata concepita, si rendono evidenti anche e soprattutto puntando sul recupero e sul riciclo.