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Se il packaging nasce virtuoso, per la plastica sarà realmente una second life.

La declinazione del riciclo secondo Infinito.

Infinito Sas è una realtà presente nel settore della rigenerazione delle materie plastiche da quasi un decennio. Fin dal primo giorno l’azienda si è posta lo scopo di un miglioramento continuo in termini di qualità del prodotto e professionalità nel servizio. Partendo da una piccola realtà, l’azienda è cresciuta fino ad essere in grado di supportare anche grandi aziende trasformatrici di materie plastiche, grazie ad un’organizzazione strutturata ma allo stesso tempo flessibile e disponibile nei confronti delle richieste dei clienti. Il core business è la rigenerazione di materie plastiche da riutilizzare nella produzione di film in polietilene; i clienti di Infinito utilizzano infatti il granulo rigenerato per la produzione di imballaggi a valore aggiunto quali film per fardellaggio e per imballaggi industriali.

Ma c’è di più. Le nuove tendenze del settore portano alla ricerca di spessori sottili al fine di contenere la quantità di materie plastiche utilizzate; Infinito aiuta in questo senso i propri clienti a raggiungere questo scopo utilizzando plastiche riciclate, dando un contributo ancora più significativo in termini ambientali.

Ne parliamo con l’ing. Marco Donà, titolare di Infinito e depositario principale della passione e della competenza messe in atto in tutti i progetti dell’azienda.

Come è avvenuto il suo incontro con il mondo della rigenerazione dei materiali?

Da ragazzo, verso la fine degli anni novanta, mi sono avvicinato al mondo della rigenerazione lavorando nell’azienda di famiglia, occupandomi proprio del recupero degli scarti di lavorazione. All’epoca era una cosa piuttosto nuova o, quantomeno, era nuovo il fatto che le aziende cominciassero a pensare di utilizzare i propri rifiuti per produrre di nuovo il proprio prodotto; quindi una rigenerazione interna senza acquisto di rifiuti dall’ esterno.

Successivamente, ho intrapreso un percorso tecnico in un altro settore e soltanto in seguito ho avuto di nuovo modo di riavvicinarmi al settore in una società che produceva film plastici e da lì ho preso spunto per avviare un’attività in tale direzione.

Dal 2011 Infinito si occupa esclusivamente di rigenerazione; il nostro prodotto finito è la materia prima seconda da utilizzare per la produzione di film plastici, ovvero il materiale più diffuso nel settore dell‘imballaggio. Essendo un’attività di trattamento rifiuti vera e propria, i nostri partner sono aziende produttrici di film plastici che ci forniscono gli scarti da rigenerare per loro conto oppure aziende che si occupano della raccolta e selezione dei rifiuti. Nel frattempo, ci siamo attrezzati per rigenerare anche gli scarti di produzione dei materiali biodegradabili compostabili, rendendo questi scarti riutilizzabili nella produzione di film biodegradabili. Una linea di produzione della nostra azienda da circa cinque anni ormai è dedicata alla rigenerazione di questi materiali.

Il lavoro, in questo momento, sta crescendo grazie alla maggior sensibilità degli operatori nell’utilizzo di materiali rigenerati, probabilmente anche per quella sorta di allarmismo in merito alla famigerata plastic tax, per la quale ancora ci sono incertezze in merito ai meccanismi attuativi e l’incidenza dei costi. Noi abbiamo certificato l’anno scorso in tal senso ben cinque prodotti, cinque materiali con il marchio Plastica Seconda Vita che garantisce che il materiale da noi prodotto abbia una effettiva provenienza da rifiuto post utilizzo, tracciando l’intera filiera dal rifiuto al granulo prodotto con esso.

In virtù della direzione che avete preso, come vede il mondo del riciclo nei prossimi anni? Quali innovazioni, quali cambiamenti si auspica?

Quello che io auspico è che si riesca a percepire che il problema del rifiuto non riciclabile nasce da una cattiva impostazione del progetto iniziale di quello che è un prodotto in materiale plastico, in particolar modo per ciò che concerne gli imballaggi. La tecnologia produttiva consente oggi di creare imballaggi formati da numerosi strati diversi, incompatibili però tra di loro al momento di venire estrusi nuovamente nel processo di riciclo. La ricerca spinta nel processo di produzione non ha tenuto conto del fine vita del prodotto, perciò auspico che per andare incontro a quelle che sono le necessità del pianeta si comprenda che occorre ripartire da un approccio diverso, contemperando ovviamente le necessità economiche di produttori, riciclatori e naturalmente l’interesse della collettività.

Così come si è riusciti a fare ricerca e sviluppo in materiali e macchinari innovativi, dobbiamo cercare continuità e concertamento in questa direzione. Occorre scardinare comunque tante convinzioni: il pensiero che quando il prodotto esce dallo stabilimento non sia più un problema di chi l’ha realizzato, è un approccio completamente sbagliato. A livello dell’utilizzatore finale non può esserci lo stesso tipo di cultura specifica come quella che risiede in un operatore di settore; a maggior ragione è proprio l’operatore del settore che deve adoperarsi per creare un imballo che abbia un valore aggiunto in termini di riciclabilità.

Questa è la sfida, perché ovviamente l’approvvigionamento di scarti potrebbe diventare critico nel momento in cui non si sta attenti a come si progettano le cose, Si tende spesso a parlare di plastica, ma c’è plastica e plastica.

Ripensare il ciclo di vita della plastica dall’inizio, piuttosto che mettere la responsabilità nelle mani dell’ultimo attore coinvolto, presuppone un incontro-scontro con molteplici resistenze ed ostacoli. Nel caso di Infinito, quali sono le difficoltà sperimentate nel mondo del riciclo?

Attualmente, gli ostacoli maggiori verso un’espansione -e quindi un aumento di produzione- che implica un aumento di materiale riciclato, sono principalmente a livello legislativo e burocratico.

Lunghe trafile quindi, tempi burocratici non allineati con le rapide tempistiche dello sviluppo?

Sì, lunghe trafile per ottenere il permesso per aumentare, anche banalmente, la capacità produttiva degli impianti. Ci siamo passati nel 2017 ed abbiamo vissuto sulla nostra pelle, oltre alle nostre difficoltà oggettive, la difficoltà da parte dei fornitori di approvvigionarci nelle more degli iter autorizzativi. Queste difficoltà burocratiche hanno rischiato di bloccarci e lo stesso rischiavano di fare, in generale, con il circuito del riciclo dei rifiuti poiché ogni passaggio nella filiera è connesso a quello successivo nonché a quello precedente. Noi ricicliamo 3000 tonnellate l’anno di rifiuti plastici: per quanto sia una goccia nel mare, se l’azienda rimane ferma, sono pur sempre 3000 tonnellate che non vengono riciclate oppure vengono riciclate in ritardo.

Gli accadimenti degli ultimi 12 mesi, con la pandemia e tutto ciò ad essa connesso, hanno imposto dei cambiamenti nel vostro modo di operare?

Grandi contrazioni a livello del volume di lavoro non ne abbiamo avute. Il nostro materiale ha come applicazione finale preminente il sacco per l’immondizia e questo mercato non ha subito nessun tipo di calo, poiché la filiera della grande distribuzione è rimasta aperta e le nostre esportazioni sul mercato nazionale non hanno subito limitazioni. Ciò che sicuramente stata azzerata è la possibilità di andare fisicamente a vedere il materiale per gli approvvigionamenti, specialmente all’estero. Il rifiuto, infatti, quasi mai è valutabile in maniera semplice con una fotografia, tanto meno con una telefonata. Tutto sommato però, fatta eccezione per l’impossibilità di mantenere contatti personali e comunicare di persona con i vari interlocutori, a livello di attività industriale parlerei di un impatto della pandemia relativamente contenuto.

Posto che, al netto di ciò che ognuno di noi si auspica in merito alla fine di questa congiuntura, i contatti e la comunicazione sono stati largamente limitati, ritiene che un magazine come rePlanet possa essere un valido strumento per dar voce agli operatori del riciclo ed essere un modo nuovo per tenersi in contatto?

Certamente sì. In questo momento è difficile avere un rapporto che vada oltre la telefonata oppure la videochiamata; anche il fatto che non ci siano le fiere di settore è limitante perché tanti rapporti lavorativi si perfezionano ancora con la classica stretta di mano, con la necessità di spendere magari del tempo davanti ad un caffè e si creano ancora così molte opportunità. Il mondo del riciclo è un settore che non è così quadrato, nel quale l’aspetto umano conta ancora molto, a volte moltissimo. Avere in supporto uno strumento, un canale, che permette di capire la visione delle aziende e delle persone che le compongono, consente di avere stimoli e di avere a volte anche delle intuizioni semplicemente leggendo quello che pensa un’altra persona.

Al momento nel panorama non c’è qualcosa di simile, quindi reputo che possa essere una novità positiva e soprattutto utile.

In merito agli sviluppi futuri da lei auspicati per il mondo del riciclo, ci sono argomenti dei quali ritiene non si parli a sufficienza e che dovrebbero avere maggior approfondimento, magari proprio su rePlanet?

Più che argomenti di cui non si parla o si parla poco, a mio avviso servirebbe mettere un po’ d’ordine a beneficio del grande pubblico, del consumatore finale. Sono le nuove generazioni a dover assimilare il concetto che la plastica non è da demonizzare; è l’uso che ne facciamo e come affrontiamo il problema dello spreco e del non riciclo. I sacchetti di plastica non hanno le gambe per andare in mare da soli, questa cosa è tanto ovvia quanto non è ancora stata secondo me sufficientemente sottolineata, perché secondo me non viene fatto in maniera semplice e chiara: la plastica da sola non fa niente, è un materiale inerte. Inquina chi butta la plastica nel mare e, a suo modo, potenzialmente inquina forse anche chi non pensa che un prodotto in plastica, composto da dieci tipologie di plastiche diverse, come fine ultima può avere soltanto l’incenerimento.

La termovalorizzazione toglie dagli occhi il problema ma cela allo stesso tempo lo spreco insito nel fatto che per arrivare ad un materiale di plastica non riciclabile probabilmente si sono investite grandi somme di denaro in materiali e macchinari per far sì che questi materiali, così eterogenei tra loro, possano convivere in un unico manufatto.

Una presa di consapevolezza, che si traduce quindi in una spinta ulteriore per gestire con passione e determinazione un’azienda fatta di persone con chiari valori e ideali?

Second life to plastic è il nostro motto e rappresenta la nostra identità. In Infinito cerchiamo di dare un’impronta seria al lavoro; a livello di impresa cerchiamo, seppure nel nostro piccolo, di applicare ovviamente delle attenzioni che rispondono al nome di welfare, team building, eppure ci sentiamo in primo luogo di far sì che le persone lavorino da noi perché si trovano bene e condividono appieno la nostra filosofia. Perché si sentono parte di una squadra.

Quello che poi facciamo, il riciclo, la rigenerazione dei materiali plastici, ci porta ad apprezzare e far apprezzare il senso di rispetto e tutela per l’ambientale insito nella nostra attività. Non siamo i salvatori del pianeta però, per il solo fatto di essere un impianto di trattamento rifiuti, siamo estremamente coscienziosi in tutto ciò che facciamo.

Ci fa piacere che venga riconosciuto e che, a modo nostro, si venga considerati fonte di conoscenza ed ispirazione. Anche e soprattutto per le nuove generazioni, che abbiamo avuto il piacere di ospitare e che sicuramente riprenderemo ad informare con disponibilità e passione quando i tempi lo permetteranno nuovamente.

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