HomeDalle AssociazioniLa condivisione degli intenti per stare al passo con le ambizioni europee

La condivisione degli intenti per stare al passo con le ambizioni europee

L’industria del riciclo nella catena del valore della plastica.

I riciclatori rappresentano gli interpreti principali di un intangibile copione nel quale diversi soggetti, a diverso titolo, si adoperano per facilitare la circolarità delle materie plastiche e la transizione verso la piena realizzazione dell’economia circolare.

Plastics Recyclers Europe (PRE) è l’organizzazione nata allo scopo di rappresentare in questo senso la voce dei riciclatori di plastica europei che ogni giorno trasformano i rifiuti plastici in materiali di alta qualità destinati alla produzione di nuovi articoli. Forte della presenza di 6 Gruppi di Lavoro e 5 Task Force, che rappresentano gli interessi dei diversi segmenti industriali nonché il coordinamento delle attività e degli obiettivi generali dell’ente, PRE fornisce ai riciclatori una rappresentanza a livello europeo e tra le principali organizzazioni del settore, promuove l’uso di riciclati plastici di qualità ed offre consigli concreti sullo sviluppo di prodotti e imballaggi innovativi e riciclabili.

Paolo Glerean, responsabile commerciale di Aliplast SpA, da noi raggiunto in veste di membro del Comitato Direttivo di PRE, ci parla con entusiasmo e sapienza di un pezzo di storia del riciclo in Europa, analizzando la situazione attuale alla luce degli sviluppi passati e, naturalmente, restituendoci la visione sua e dell’associazione in merito al futuro del riciclo.

L’associazione -racconta Glerean- raggruppa in buona sostanza la maggior parte di quella che è la capacità produttiva di riciclo installata in Europa, con associati provenienti dalla maggior parte dei paesi europei. Ha sede a Bruxelles, per essere più vicina a quelli che sono i poli decisionali e può vantare uno staff di persone che lavora non solo sugli aspetti legati all’ambiente ma ragiona anche su questioni prettamente tecniche e di comunicazione. Non ricordo il numero esatto, all’interno della associazione dovremmo essere vicini ai 120 membri. Poi ci sono cosiddetti Friends -aziende connesse al mondo del riciclo delle materie plastiche, senza essere riciclatori effettivi, ndr- che a vario titolo supportano l’attività associativa, avendo naturalmente libero accesso a tutti gli incontri dell’associazione. L’associazione non contempla soltanto finalità puramente associative, andando anche oltre a quello che normalmente un’associazione ha in animo di fare. Da qualche anno, abbiamo infatti creato una piattaforma congiuntamente ad alcuni attori della catena del valore delle materie plastiche, ovvero produttori di materia prima vergine, trasformatori, grandi marchi e produttori di tecnologie legate soprattutto all’imballaggio plastico e con essi abbiamo stabilito -e continuamente fissiamo- degli standard, delle metodiche di prova per valutare la riciclabilità degli imballaggi. Perciò, un qualcosa che va al di là di quello che normalmente un’associazione industriale è solita fare.

Con la consapevolezza in merito agli scenari evolutivi del riciclo che le viene da un punto di osservazione privilegiato, fin dove arriva il suo sguardo sugli sviluppi futuri?

Diciamo che c’è una traccia, chiaramente segnata dalla Commissione Europea nel momento stesso in cui ha pubblicato la Plastic Strategy nel gennaio del 2018.  Lì è chiaramente menzionato che l’obiettivo sarà quello di arrivare ad avere, nel 2030, una quantità di plastica riciclata pari al 400% rispetto ai dati rilevati nel 2015.

I due grossi driver che vedo sono pertanto un aumento quantitativo a cui deve legarsi un aumento qualitativo per poter erodere sempre più quote al mercato delle plastiche vergini. Sicuramente ci sarà un aumento nelle quantità di plastica riciclata, chiaramente questo vuol dire che ci dovrà essere più raccolta, da diverse fonti. Aumenterà anche la quantità dell’output ma dovrà per forza di cose aumentare la qualità, poiché non basta soltanto aumentare i quantitativi. In sostanza, il prerequisito per fare questo è andare a modificare certi tipi di progettazione, di approccio legati alla progettazione di beni ed imballaggi, perché il concetto di riciclabilità è passato molto rapidamente dall’essere piuttosto astratto ad essere una delle priorità dell’industria, in particolar modo quella del packaging.

Purtroppo, il fatto che lo sia diventato da poco tempo rende evidente comprendere quanto ancora ci sia da fare a livello “educativo” nella catena del valore e presso chi progetta gli imballaggi. L’ aumento delle quantità e delle qualità, quindi una maggiore circolarità delle materie plastiche ed una maggiore professionalizzazione degli attori nel riciclo della plastica, sono fattori che ci portano ad osservare e determinare la presenza di un trend già ampiamente cominciato, nel quale le aziende di taglia media e medio-piccola crescono di misura, perché si accorpano tra di loro oppure perché vengono acquistate da aziende più grandi che stanno sia a valle che a monte della catena del valore.

Sono in atto fenomeni di aggregazione tali per cui di qui a dieci anni mi aspetto che la dimensione media del riciclatore sia decisamente aumentata. Diciamo che, a parte poche nicchie, vedo difficile affrontare queste sfide per un’azienda di piccole dimensioni, proprio per il fatto che occorrerà riciclare di più e di conseguenza trovare sbocco a molte più materie riciclate.

Ancora più che in questo momento, la qualità diventerà determinante. Non posso infatti pensare a materie plastiche riciclate di bassa qualità che vengano in un qualche modo spinte all’utilizzo, nemmeno in presenza di sovvenzioni a monte della catena, perché le applicazioni per quel tipo di materie plastiche sono già abbastanza esplorate.

In realtà la vera sfida dei riciclatori sarà quella del sostituire i materiali vergini, secondo me è questo il vero obiettivo da realizzare.

Oggi avere una “patente” di riciclabilità o, ancora meglio, di circolarità, rappresenta una condizione essenziale per poter immettere un bene oppure un imballaggio sul mercato e lo diventerà sempre di più. In questo contesto è allora importante che tutta la catena del valore sia coinvolta, che il riciclatore alla fine della catena sappia valorizzare i materiali, i rifiuti che tratta e ne sappia ottenere delle materie prime di elevata qualità che possano andare a competere con le materie prime vergini.

Una strada tracciata in maniera chiara che impone alle aziende di tenere il passo delle ambizioni.

Certamente, occorre essere attrezzati. Per questo porterei all’attenzione il fatto che le aziende debbano avere dimensioni sufficientemente grandi da poter fare degli investimenti nelle tecnologie idonee e negli altrettanto idonei e specifici controlli qualità. Occorre dotarsi di una struttura adeguata, avere una certa capacità organizzativa che la piccola azienda difficilmente riesce ad avere.

Queste sono le sfide. Quali sono invece gli ostacoli per la catena del valore della plastica, siano essi endogeni oppure esogeni, nel perseguire questi obiettivi?

Dividerei gli ostacoli in due argomentazioni distinte. Da un lato, la difficoltà di sistema a livello europeo, dall’altra quella riscontrabile sul mercato italiano.

A livello europeo c’è una spinta che porta beni ed imballaggi a dover essere migliorati dal punto di vista della riciclabilità e permettere poi una gestione più efficace della filiera del recupero e riciclo. Non è una cosa facile, manca ancora un allineamento completo. Anche sulle semplici definizioni. Non ci sono degli standard qualitativi già definiti, è tutto un percorso che si sta costruendo.

C’è tuttavia una discreta concordanza da parte dei maggiori operatori su quelle che devono essere le cose da fare. È un motore appena avviato, molto promettente ma chiaramente ancora funzionante ad un numero di giri basso. Ciò che in un qualche modo ne limita i giri è ancora una certa ritrosia da parte di certi anelli della catena del valore che magari non sono disposti ad accettare qualche compromesso, chiamiamolo così, transitorio. Ci sono infatti alcuni passi che devono essere compiuti, poiché il materiale riciclato non è identico al vergine; ha bisogno di determinate accortezze che richiedono un approccio particolare ed un investimento in termini di tempo e risorse dedicate. Però è un percorso, ben definito.

Il limite, nel concreto, riguarda quindi l’approccio al cambiamento per la mancata diffusione di standard qualitativi ai quali fare riferimento. Una buona parte delle caratteristiche qualitative degli output prodotti dai riciclatori non è allineata in quanto a qualità; questo fa sì che ogni volta che si acquista un materiale riciclato, non ci sia una codifica che permette di paragonare le diverse tipologie. Ci sono certamente delle schede tecniche ma non ancora uniformità, non ancora una standardizzazione che renda i materiali tra loro paragonabili.

Questo è un qualcosa che manca al settore del riciclo e che poi diventa un limite nel momento in cui il riciclatore propone i suoi prodotti all’utilizzatore, magari aziende che normalmente hanno a che fare con multinazionali dei polimeri vergini che utilizzano schede tecniche codificate e forniscono un set informazioni assolutamente completo ed affidabile.

É un percorso lungo ripeto, la riciclabilità di beni ed imballaggi è un tema che ha iniziato a diventare caldo non più tardi di tre anni fa. Non possiamo scordare che utilizziamo la plastica in modo massiccio da circa settant’anni e ci siamo curati molto poco di quello che succedeva al momento del fine vita, focalizzandoci soltanto sulle performance. Negli ultimi anni abbiamo invece capito ciò che non poteva più essere trascurato, anche per via del profluvio di messaggi e comunicazioni che hanno fanno leva sull’emotività ed hanno fatto crescere un’onda di indignazione nei confronti dei problemi ambientali che vedevano coinvolta la plastica: produciamo molta, moltissima plastica ed alla fine cosa succede?

Questa domanda ha imposto alla catena della plastica di prendere a cuore realmente la questione del fine vita. Vorremmo sopperire in pochi anni a quello che non abbiamo fatto in settant’anni?  Ovviamente, non è possibile, occorre tempo per creare questi standard, per accordarsi su quali devono essere gli approcci da usare e le metodologie di valutazione. La circolarità nella catena del valore della plastica vorrebbe crescere velocemente ma questo motore da poco avviato ha bisogno di prendere giri. I fattori elencati sono a mio avviso gli intoppi che non lasciano prendere i giri al motore e che dovranno essere appianati per farlo girare al massimo.

Per ciò che attiene al capitolo Italia, va detto che abbiamo una situazione, rispetto al caso di altri paesi, parzialmente gravata da una grande incombenza di risvolti amministravi ed autorizzativi, assolutamente legittimi e corretti che però ci mettono in una posizione di svantaggio rispetto ai competitor di altri paesi europei. Se un’autorizzazione in altri paesi può richiedere mesi, in Italia purtroppo parliamo di anni.

In uno scenario in cui in Europa si prevede una crescita del 400% delle capacità produttive, lo stare sul mercato europeo diventa anche una sorta di competizione tra i sistemi dei diversi paesi. Nel momento in cui un riciclatore italiano decide di investire per aumentare la capacità produttiva, per seguire questo trend di crescita ed avere più quote di mercato, mediamente due anni trascorrono solamente per la procedura autorizzativa. Se parto allora con un ritardo rispetto al competitor europeo, è naturale che il nostro sistema sia in perenne rincorsa. Il caso italiano, al netto di tutte le difficoltà intrinseche del fare impresa, si trascina purtroppo questo fardello.

A proposito di fardelli indesiderati, questi ultimi dodici mesi in pandemia hanno portato ad un qualche mutamento delle dinamiche del mondo del riciclo?

Anche qui mi trovo a fare un distinguo. C’è un aspetto congiunturale ed uno strutturale. Dal punto di vista strutturale direi che non è cambiato molto rispetto a quel trend di crescita e cambiamento che è in atto nel settore del riciclo. Nonostante abbia avuto qualche battuta d’arresto, continua in quella direzione.

Dal punto di vista congiunturale, invece, quello che è successo ha avuto delle grandi ripercussioni. Il 2020 per il settore del riciclo della plastica e per i singoli riciclatori è stato un anno tremendo. Abbiamo sperimentato la tempesta malauguratamente perfetta di una pandemia che ha cambiato quelle che erano le normali dinamiche. Il settore delle plastiche in qualche modo ruota ancora intorno al valore del petrolio e per la prima volta nella storia abbiamo osservato quotazioni negative, con i produttori che pagavano per disfarsi del petrolio.

Nel momento stesso in cui il produttore di materie prime vergini può beneficiare di costi di acquisto di derivati del petrolio decisamente bassi, può abbassare in modo importante i propri costi e di conseguenza anche i propri prezzi. Viceversa, il mondo del riciclo si basa su costi che non sono così facilmente comprimibili perché, ad esempio, i costi della raccolta rimangono comunque da pagare.

Se il petrolio scende, qualche costo si ridurrà di conseguenza, ma non è quello che fa la differenza. Il riciclatore si trova ad avere i competitor produttori di materiali vergini che tagliano i prezzi del 50% e qualche minimo beneficio lo osservo, tuttavia ciò non mi permette di fare lo stesso tipo di taglio. Perché? Perché a quel punto, il valore di una materia prima vergine si trova ad essere più basso di quelli che sono i miei costi di produzione, che devono ripagare tutti i costi direttamente connessi anche alla filiera del recupero. Non potendo abbassare il prezzo in maniera analoga, il cliente utilizzatore acquista materiale vergine e mette completamente fuorigioco il settore del riciclo.

Questo è quanto è accaduto nel 2020, questa è stata la congiuntura.  Ora gli equilibri stanno cambiando ma quasi tutti i mesi dello scorso anno sono stati di grossa sofferenza per il riciclatore. Chi si è in qualche modo salvato e serve, secondo me, da esempio, è il settore atto al riciclo del PET per la produzione di materiale idoneo al contatto alimentare. Questo è un prodotto estremamente qualificato dal punto di vista qualitativo intrinseco e si è creato un proprio mercato, svincolato dalla materia prima vergine e sostenuto dai grandi brand owner che si sono pubblicamente impegnati ad utilizzare plastica riciclata. Stanno onorando i propri impegni, anche pagando molto di più rispetto alla materia vergine, perché per loro è divenuto in qualche modo un passepartout sui mercati.

Questo ha creato un mercato a parte che ha permesso ai riciclatori di continuare a lavorare in modo sostenibile anche in un anno terribile come è stato invece l’anno dei riciclatori che operano su altri mercati e con altri materiali.

PRE è un’associazione che fa della comunicazione uno dei fattori chiave del proprio successo che le permette di connettere i membri, gli operatori e le altre associazioni di categoria. Un magazine può essere a sua volta mezzo efficiente per dare voce agli attori del riciclo?

Per ciò che riguarda PRE, tra gli operatori posso dire che la comunicazione funziona in maniera efficace. Al netto della pandemia, nel tempo abbiamo cominciato a fare parecchi incontri. Un magazine che permettere di far colloquiare tra di loro i riciclatori ed i soggetti coinvolti nella catena del valore della plastica, diciamo che permette di raggiungere una forma di condivisione della conoscenza che vada anche al di fuori dal mondo degli addetti ai mestieri, rivolgendosi a soggetti che potrebbero rivestire il ruolo di potenziali clienti utilizzatori delle materie plastiche rigenerate. Molti sono i brand interessati a capire maggiormente cosa sia la plastica riciclata, quali i prodotti disponibili, quali le applicazioni e le potenzialità. Sono tutte informazioni che si possono trovare nel contesto di una fiera, eppure si possono benissimo trovare anche in un magazine, a patto che sia organizzato in modo che, più che uno strumento di dialogo tra gli addetti ai lavori, si caratterizzi in quanto strumento di conoscenza del mondo riciclo della plastica anche nei confronti dei fruitori esterni.

Ci sono tematiche nelle quali nota un minore grado di approfondimento? Esiste una qualche sorta di gap informativo da colmare?

Come dicevo, sono tanti gli aspetti del mondo del riciclo che devono essere in qualche modo regolamentati, standardizzati. Nel senso che occorre creare un linguaggio comune. Su queste tematiche sicuramente c’è molto da fare e, di conseguenza, gli aspetti legati alla regolamentazione potrebbero essere importanti nella misura in cui vengono condivisi ed illustrati, però non come connotazione principale di una rivista a carattere divulgativo, piuttosto quanto una parte all’interno di essa.

Sicuramente, per seguire il ragionamento fatto in merito ai possibili fruitori del magazine, un focus sulle conoscenze base dei materiali e dei possibili utilizzi sicuramente potrebbe essere interessante, al fine di promuovere meglio proprio l’attività del riciclo della plastica nei confronti di chi sta al di fuori di questo mondo.

Penso che una cosa interessante potrebbe essere il cominciare a creare dei “ponti” che mostrino sia a chi sta all’esterno sia chi sta all’interno del mondo del riciclo quali possibilità ci sono, come raggiungerle, come e dove incontrarsi a mezza via.

Allora sì, si potrebbe creare quella corrispondenza di informazioni, di domanda ed offerta conoscitiva che rende la pubblicazione differente e perfettamente allineata ai propri intenti divulgativi.

Dalla corrispondenza di informazioni a quella di intenti. Quanto è importante allora che questa opportunità in termini di sostenibilità ed efficienza venga pienamente accolta?

Diciamo che un’industria che in quindici anni, dei quali cinque già trascorsi, non fu solo prevista ma volutamente guidata verso una crescita del 400% rappresenta, a prescindere da chi la approcci, una grande opportunità. Detto questo, qualunque sia l’angolo dal quale osserviamo l’evoluzione, non è accaduto che la crescita del riciclo sia stata prevista in via teorica da qualche analista e per via incidentale si sia effettivamente realizzata. Il legislatore europeo ha messo in campo valide azioni -leggasi leggi- per renderlo reale.

È qualcosa di più di una semplice previsione, è una volontà specifica di arrivare esattamente dove ci si è prefissi. Un’industria volutamente sviluppata in quest’ordine di dimensioni e progettualità, rappresenta sempre un’opportunità per chi ci vuole investire, poiché probabilmente nessun altro comparto industriale è stato in grado di far osservare questi tassi di crescita.

Anche e chiaramente da parte del resto della catena del valore della plastica, si parli di un trasformatore, di un brand owner che utilizza imballaggi oppure prodotti in plastica, c’è ad ogni modo un forte interesse poiché ormai l’utilizzo della plastica viene a priori talmente demonizzato che tutto deve necessariamente essere interpretato in un’ottica di utilizzo più sostenibile di questo materiale.

Tre condizioni sono fondamentali per chi deve decidere di utilizzare la plastica, essenziali per misurare le proprie intenzioni e le finalità del prodotto che si desidera con essa realizzare. La prima riguarda, innanzitutto, l’utilizzarne meno; la seconda invita, possibilmente, ad usarla riciclata nei casi in cui sia applicabile mentre l’ultima condizione riguarda il fatto di utilizzarla in modo da tenere conto di quello che sarà il suo fine vita, un fine vita tracciabile e reale, non soltanto una mera ipotesi.

Dovrà diventare parte del patrimonio aziendale l’essere edotti in merito a come si comporta il materiale riciclato e come lo stesso possa essere utilizzato. Per essere in grado di interiorizzare queste conoscenze le aziende avranno allora bisogno, oltre alle competenze tecnologiche, di fonti di informazione importanti ed attendibili che permettano di comprendere quanto sia fondamentale non soltanto l’essere disposti ad investire ma anche, e soprattutto, l’avere una chiara visione di come muoversi e di quali siano le dinamiche e le evoluzioni che governano questa incredibile opportunità.

NOTIZIE CORRELATE