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Il riciclo tessile: scenari e stato dell’arte

Compito delle tecnologie non è solo recuperare materia prima altrimenti destinata a termovalorizzazione o discarica: è anche evitare la formazione stessa di rifiuti e risparmiare materiali preziosi, acqua ed energia

Proseguiamo il nostro viaggio nel mondo del riciclo tessile pubblicando una disamina delle tecnologie per il riciclo dei materiali tessili, estratta dallo studio realizzato dalla Dottoressa Aurora Magni per ACIMIT – Associazione Costruttori Tessili Italiani – dal titolo “Il Riciclo Tessile: Scenari e Stato dell’arte”, con risorse finanziarie messe a disposizione da ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nell’ambito del Progetto ITMA Milano 2023, finalizzato a supportare la partecipazione delle aziende italiane a tale manifestazione.

La versione integrale è scaricabile dal sito www.acimit.it

Con la crescita dei consumi globali, l’aumento della domanda di fibre e l’incremento dei rifiuti tessili pongono con urgenza la messa a punto e la diffusione di tecnologie per la cernita e il riciclo dei tessili a fine vita e degli scarti pre-consumo.

Secondo uno studio della società di ricerca McKynsey, per quanto se ne avverta l’urgenza, le potenzialità del processo di riciclaggio sono di fatto limitate da fattori oggettivi, tra cui la presenza di molteplici materiali in un unico capo spesso non facilmente separabili e l’assenza di una filiera efficiente di preparazione al riciclo. Si legge: “La nostra analisi indica che superando queste barriere, il riciclaggio da fibra a fibra potrebbe raggiungere dal 18 al 26% dei rifiuti tessili lordi nel 2030 con investimenti in conto capitale compresi tra 6 e 7 miliardi di euro. Questo settore potrebbe, una volta maturato e ridimensionato, diventare autonomo e redditizio con un pool di profitti compreso tra 1,5 e 2,2 miliardi di euro entro il 2030.

I risultati ambientali e sociali sarebbero decisamente positivi: creazione di circa 15.000 posti di lavoro e riduzione delle emissioni di CO2 di circa 4 milioni di tonnellate, equivalenti alle emissioni cumulative di un paese delle dimensioni dell’Islanda. Positivi anche gli effetti sull’economia: quantificando gli effetti secondari sul PIL derivanti da occupazione, riduzione di CO2 e utilizzo di acqua e suolo, l’industria potrebbe raggiungere i 3,5-4,5 miliardi di euro nell’impatto olistico annuo totale entro il 2030, arrivando a un ritorno sull’investimento dell’impatto olistico annuale dal 55 al 70%”.

Le tecnologie digitali a sostegno di azioni di sistema
Le tecnologie avranno un ruolo importante tanto nel prevenire la formazione di rifiuti, quanto ovviamente nel riciclo, ma anche nel contrasto a comportamenti illegali e scorretti. La dispersione illegale di materiale tessile nell’ambiente richiede, infatti, interventi mirati coerenti con il principio lanciato dalla UE ‘chi inquina paga’. In Italia il contrasto a questo fenomeno richiederà investimenti avanzati per controllare il territorio con satelliti, droni e sistemi di intelligenza artificiale, esperienza già testata per intercettare l’abbandono di plastica sulle spiagge.

Ma è nei processi produttivi che le tecnologie digitali assumeranno un ruolo determinante nelle fasi di raccolta, cernita e selezione dei materiali da destinare a riuso e riciclo ed in particolare in:

– Realizzazione di piattaforme a sostegno di programmi di simbiosi industriale finalizzati a favorire l’incontro tra offerta e domanda di scarti tessili: formula già sperimentata in programmi UE, come la piattaforma Material Match Making realizzata da UNIVA e Centrocot, insieme a partner aziendali nell’ambito del programma Life M3P;

– Monitoraggio dei flussi di raccolta e trasformazione dei materiali destinati al riciclo rendendo efficiente e documentato il processo di lavorazione stesso, con valori affidabili relativi alle percentuali indicanti la componente da riciclo presente in nuovi prodotti e alle dichiarazioni ambientali;

– Sviluppo di modelli di business basati sulla circolarità e sulla condivisione: dalla sharing economy alla vendita di capi ed accessori usati life on line;

– Attività di sensibilizzazione e coinvolgimento attivo dei consumatori nell’assunzione di comportamenti responsabili dalla fase di acquisto alla dismissione del bene.

Raccolta e preparazione al riciclo
Le fasi che un rifiuto tessile deve attraversare per entrare nella filiera del riuso sono: 1. Raccolta frazione tessile effettuata mediante raccolta a domicilio o contenitori stradali; 2. Deposito/stoccaggio temporaneo; 3. Prima selezione per tipologia di articolo con apertura dei sacchetti depositati dagli utenti; 4. Seconda selezione per tipologia e qualità, effettuata manualmente da personale specializzato, per estrarre la frazione di maggior valore e a creare lotti omogenei di prodotti riutilizzabili; 5. Igienizzazione del prodotto avviato a riutilizzo.

La parte dei rifiuti tessili urbani scartata perché non adatta al riuso viene a sua volta selezionata per tipo di materiale ed avviata a produzione di pezzame ad uso industriale (stracci e strofinacci assorbenti e di lavaggio) e per la protezione di pavimenti; al riciclo tessile; o ad incenerimento-termovalorizzazione.

La ricerca si è concentrata sulla fase di selezione con tecnologie che velocizzino e rendano più affidabile l’attività, aiutando il comparto a transitare da modalità di lavoro manuali-artigianali a più modelli industriali. Si tratta prevalentemente di sistemi di lettura dei materiali mediante spettroscopia infrarossa (NIR) che consente di identificare colore e composizione dei prodotti tessili. Fibre naturali, artificiali o sintetiche hanno, infatti, strutture chimiche e molecolari differenziate che reagiscono in modo diverso alle onde elettromagnetiche.

A titolo esemplificativo citiamo due esperienze recenti:

SIPTex, un consorzio svedese guidato da IVL, l’istituto svedese di ricerca ambientale, ha sviluppato un impianto pilota con un sistema di cernita che utilizza tecnologie NIR e VIS, che consente di riconoscere e separare i tessuti per tipologia di fibra prevalente e colore e invia mediante un sistema ad aria compressa a aree di raccolta designate.

– La pratese Next Technolgy Tecnotessile ha sviluppato un prototipo di macchina semiautomatica che riconosce i materiali che scorrono su un nastro automatico in base alla struttura (maglia, tessuto ortogonale, indemagliabile), al colore (7 colori di riferimento) e alla composizione fibrosa. La macchina è costituita da una stazione di rilevamento con telecamere evolute che sfruttano la tecnologia iperspettrale nel vicino infrarosso, assistita da un sistema di intelligenza artificiale con algoritmi di auto-apprendimento e memorizzazione delle immagini, da un nastro trasportatore e da cestelli di raccolta dei capi.

Prima di procedere al riciclaggio, è inoltre necessario rimuovere componenti quali plastificazioni morbide o elementi metallici come bottoni e zip. Mentre le parti morbide-gommose possono legarsi alla fibra in fase di riciclaggio rendendola non utilizzabile, le parti dure possono danneggiare le macchine durante la lavorazione. E una scintilla causata da una componente metallica che colpisce le parti della macchina può causare l’accensione di fibre facilmente infiammabili come il cotone.

La fase di riciclo
Esistono diverse tipologie di riciclo tessile, come indicato dalla Commissione Europea nel documento ‘Studio sull’efficacia tecnica, normativa, economica e ambientale del riciclo delle fibre tessili’: riciclo meccanico, termo-meccanico, termo-chimico e chimico.

Riciclo meccanico
Il riciclo meccanico vanta una lunga storia. E’ infatti una tecnologia consolidata, adottata da decenni soprattutto nella lavorazione di tessuti di lana, come insegna il distretto pratese. Una volta liberati da parti metalliche e fodere, i tessuti sono selezionati in base a composizione fibrosa e tonalità cromatica (che consentirà di ridurre o addirittura evitare l’uso di coloranti sul filato riciclato). Nel caso di tessuti lanieri è previsto il carbonizzo, trattamento chimico che consente di eliminare le eventuali fibre cellulosiche presenti che comprometterebbero la qualità del prodotto rigenerato. I materiali sono sottoposti a stracciatura e sfibratura, trattamenti meccanici finalizzati a districare e liberare le fibre. Il materiale ottenuto è quindi pronto per la carda, cioè la macchina che parallelizza le fibre e le allinea in nastri, che saranno poi trasformati in filato mediante stiro e torsione. La colorazione del filato finale può essere ottenuta selezionando e mischiando i tessuti in base alla tonalità cromatica già presente o mediante processi di nobilitazione che possono essere adottati sia sui materiali pre-filatura che sul prodotto a fine ciclo. Questo sistema di rigenerazione è impiegato tanto per produrre filati pronti per il reinserimento sul mercato quanto come fase preparatoria a successivi trattamenti termici o chimici; in caso di fibre miste o di bassa qualità, è impiegato per sfilacciare i materiali per ottenere imbottiture, materiale da riempimento e rinforzo per compositi.

Se la lana trattata meccanicamente mantiene un buon livello qualitativo, maggiori criticità riguardano il trattamento di altre fibre in cui si può registrare perdita di qualità, tanto da richiedere inserimento di fibre vergini per elevare il livello del filato prodotto. La conservazione di coloranti ed additivi chimici nel materiale ottenuto mediante riciclo meccanico può essere interpretata come un vantaggio (selezionando il flusso dei rifiuti per colore si evitano processi tintoriali), ma può rappresentare un problema per la presenza di contaminanti indesiderati, tanto che può risultare difficile rivendicare la conformità del materiale ottenuto con i parametri REACH. Il riciclo meccanico consente comunque, seppur in una logica downcycling, di trattare un’ampia gamma di materiali e di tessuti non riciclabili tramite altre tecnologie, ed è un processo a basso consumo energetico (tra 0,3 e 0,5 kW per kg di materiale in ingresso) e a basso consumo di acqua, limitato se necessario a un processo di pulizia come pretrattamento; rispetto al riciclo chimico, necessita di investimenti più contenuti e di un livello medio di competenza tecnica degli addetti.

La ricerca tecnologica si concentra soprattutto sul miglioramento della qualità dei materiali ottenuti e sulla riconfigurazione delle macchine per le successive fasi di trattamento termico e chimico partendo da una più efficace selezione dei materiali in ingresso.

Riciclo termo-meccanico
Come il riciclo meccanico, quello termo-meccanico è un processo a costi contenuti e consolidato. Basato sulla macinazione e sulla fusione dei materiali, è particolarmente utile per il riciclo degli scarti di produzione di fibre man made e di alcuni rifiuti di consumo raccolti in centri specializzati (ad es. bottiglie di plastica), ma non è adatto a polimeri termoindurenti. L’eventuale presenza di polimeri incompatibili con il processo di riciclaggio può causare problemi nella lavorazione e penalizzare la qualità dell’output, pertanto la selezione accurata del materiale in ingresso è un prerequisito importante.

La ricerca relativa a questa tipologia di riciclo è focalizzata sulla riduzione dell’immiscibilità delle miscele polimeriche. Lo stesso vale per il colore poiché i pigmenti rimangono insieme ad altri contaminanti come residui di lavaggio, ritardanti di fiamma, rivestimenti, ecc., presenti nella o sulla fibra o sul tessuto (potenzialmente in contrasto con il regolamento REACH). Occorre inoltre tenere presente che le proprietà del polimero/fibra si deteriorano dopo ogni ciclo. Pertanto, nonostante le somiglianze con la lavorazione a fusione di materie plastiche vergini o di scarto, sono necessarie apparecchiature o componenti specializzati per garantire un processo stabile e continuo e non alterazioni nel grado di vischiosità del polimero ottenuto. Inoltre, poiché i coloranti rimangono nel materiale polimerico, è possibile ottenere solo colori scuri, a meno che l’input non sia selezionato per colore e non si sfrutti la capacità di alcuni coloranti termocromici di modificare colore ad una certa temperatura.

Riciclo termo-chimico
ll processo utilizza la reazione di ossidazione parziale dei polimeri o il calore per degradare i polimeri in monomeri che possono essere utilizzati come materia prima per l’industria chimica, ed è una tecnologia utile alla riduzione di rifiuti tessili non trattabili con altre metodologie, ma non al recupero da fibra a fibra. È considerata una tecnologia matura, anche se gli sviluppi per consentire la produzione di materie prime per l’industria chimica in alternativa al recupero di energia o alla produzione di combustibili sono molto recenti.

L’output principale del processo, il syngas, ha molte possibilità di applicazione nelle reazioni di sintesi chimica che portano a un’intera gamma di prodotti.

Il fabbisogno energetico per il riciclaggio termo-chimico è elevato. Nei processi di riciclo termochimico, pirolisi e gassificazione la combustione avviene a temperature variabili comprese tra 800 e 1200°C con sufficiente ossigeno per ossidare completamente il materiale. I prodotti in uscita (gas e petrolio) generati dalla gassificazione e dalla pirolisi possono essere utilizzati per scopi termici ed energetici. Tuttavia, con successive fasi di purificazione/upgrading, possono anche essere convertiti in intermedi chimici e, quindi, servire come materia prima per l’industria chimica.

Riciclo chimico
Utilizza la dissoluzione chimica o reazioni chimiche per disassemblare le fibre usate, estrarre i polimeri per nuovi usi o scomporli nei monomeri costituenti per la ricostruzione in nuove strutture fibre polimeriche.

Lo studio citato indica tre casi in cui questa tecnologia di riciclaggio è applicata.

  • Il riciclo del cotone per ottenere pasta cellulosica utilizzabile nella produzione di fibre cellulosiche (viscose, lyocell) mediante processo a base solfato, solfito e senza zolfo. La selezione dei rifiuti tessili è molto importante: per ottimizzare il processo è necessaria un’alta presenza di cotone (almeno 50%). La tolleranza ai tessuti tinti dipende dal processo, ma la maggior parte delle tecnologie include una fase di decolorazione e/o candeggio. La pasta di cellulosa ottenuta può essere miscelata con pasta di legno prima di procedere alla filatura.
  • Il riciclaggio dei monomeri di PA6 e PET è un processo di depolimerizzazione in cui le catene polimeriche vengono scomposte in monomeri tramite diverse tecnologie e varie condizioni di reazione (temperature-pressione-tempo-catalizzatori). I solventi applicati sono tipicamente acqua (cioè, idrolisi, usata per la PA6), alcoli (cioè, metanolisi) o glicoli. Per il PET possono essere utilizzati tutti e tre i meccanismi di reazione, sebbene la glicolisi sia la più comune. Oltre ai tre metodi citati di solvolisi, recentemente si è reso disponibile un quarto metodo, vale a dire una reazione di depolimerizzazione enzimatica. In questo caso la reazione chimica è mediata da un catalizzatore biologico. Sebbene l’output finale dipenda dal reagente, PTA (acido tereftalico) e MEG (glicole etilenico) sono i monomeri tradizionali ottenuti dal PET che possono essere ripolimerizzati per ottenere polimero vergine di elevata purezza, mentre per PA6 l’output è il caprolattame che può essere ripolimerizzato in PA6 vergine. L’efficienza del riciclaggio chimico delle fibre sintetiche dipende fortemente dalla purezza del materiale in ingresso. Per ragioni economiche, il contenuto di PET o PA dell’input dovrebbe essere intorno all’80-90%, motivo per cui si tende a ottenere fibra di poliestere dal riciclo di rifiuti di imballaggio e industriali PET. L’utilizzo del PET per la produzione di fibre tessili sottrae però polimero al ciclo del riciclaggio ripetuto non essendo il poliestere facilmente riciclabile ed è, quindi, scoraggiato dalla Commissione UE che sollecita l’adozione di riciclo da fibra a fibra. La poliammide è, invece, solitamente ottenuta da pavimentazioni tessili, reti da pesca e da altri scarti plastici, con un recupero stimato intorno al 65% sul totale del flusso in ingresso.
  • Il caso poly-cotton: Mediante processi di dissoluzione e filtrazione a base di solventi è possibile separare i diversi materiali ed estrarre i componenti desiderati: la cellulosa recuperata può essere sottoposta al processo precedentemente descritto per la produzione di man made cellulosiche mentre i polimeri del PET rimangono in gran parte intatti e possono essere trasformati in filamenti, anche se nella pratica odierna vengono inceneriti per il recupero di energia. Un secondo tipo di tecnologia consiste in un approccio idrotermico per degradare (parzialmente) il cotone o il PET o entrambi. È effettuato mediante bagno in acqua, pressione, temperatura e chimica. Un terzo approccio si concentra sulla degradazione parziale attraverso un trattamento enzimatico che consente di ottenere glucosio (destinabile ad altri processi industriali), polvere di cellulosa e PET. Per ottenere fibre di PET attraverso un processo di filatura a fusione adatte per applicazioni tessili, è però necessario integrare PET vergine per migliorarne la qualità.
  • Il riciclo mediante biotecnologie: Il ciclo biologico si basa su risorse che possono decomporsi e costruire nutrienti da trasformare in nuove risorse rinnovabili. I processi possono essere distinti in: biologico, ovvero decomposizione biologica di fine vita in cui i microrganismi metabolizzano i materiali tessili in molecole semplici (compost e digestione anaerobica), biochimico, ovvero depolimerizzazione enzimatica che utilizza enzimi per decostruire il tessuto polimeri in monomeri e fermentazione mediante microrganismi.

I rifiuti tessili sono visti come materia prima ricca di cellulosa per la bioraffineria di seconda generazione in un processo di riciclaggio a circuito aperto (da cotone a man made cellulosiche), per quanto contaminanti eventualmente presenti, elastomero e sostanze chimiche utilizzate per la tintura e il finissaggio, oltre all’elevata cristallinità delle fibre di cotone, possano rappresentare un vincolo al riciclo stesso. Lana e seta sono costituite da cheratina, una proteina il cui riciclaggio è stato studiato dall’industria del food per il recupero di biopolimeri da piumaggio post-macellazione, ma i severi costi associati e gli impatti ambientali negativi hanno al momento scoraggiato questo filone di ricerca.

Sono in corso studi per il riciclo enzimatico del PET, anche se questo approccio è oggi difficilmente applicabile ai tessili. Si va diffondendo, comunque, l’idea che metodologie sviluppate nell’ambito della gestione biotecnologica di materiali da fonte rinnovabile e non rinnovabile possano rappresentare una strada da approfondire o essere funzionali ai processi di riciclo chimico, ad esempio, nella fase di preparazione pre-riciclaggio. È questo uno dei fronti più innovativi della ricerca sul riciclo dei materiali tessili, anche se ancora poco scalabile a livello industriale.

Aurora Magni – Presidente Blumine srl

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