Dagli intenti dell’amministrazione Biden alle implicazioni per l’intera industria delle materie plastiche.
Nel giorno delle celebrazioni per la giornata mondiale della Terra, la Casa Bianca ha riportato gli Stati Uniti nell’accordo di Parigi sul clima e, forse anche per relegare celermente all’oblio il dietrofront degli anni di Trump, ha fissato in partenza nuovi e più rigorosi impegni in merito alla riduzione delle emissioni nette di anidride carbonica: andranno azzerate entro il 2050 e, cosa più rilevante, già ridotte di circa il 50% entro il 2030.
Dunque, abbiamo potuto osservare non solo l’appalesarsi dell’esatto contrario rispetto al negazionismo ambientale di Trump, bensì anche molto più di quanto offerto da Obama quando promosse, sei anni fa, il patto planetario. Sul fronte interno, l’amministrazione Biden mette sul piatto un piano da 2.200 miliardi di dollari per il rinnovamento delle infrastrutture americane, in gran parte centrato sul risparmio energetico e la lotta al global warming. Realizzarlo, tuttavia, non sarà facile.
Il 22 aprile, nel 51° anniversario delle celebrazioni Onu per il Pianeta, il presidente Biden ha aperto in videoconferenza il summit sul clima, in qualità di leader di un Paese che vuole attuale la più profonda trasformazione economica mai sperimentata prima, dalla rivoluzione industriale dell’Ottocento sino ad oggi. Va detto, una certa enfasi è stata anche utilizzata ad arte per cercare di riconquistare la leadership politica e tecnologica in campo ambientale perduta negli ultimi anni a favore, soprattutto, della Cina.
Va allo stesso modo sottolineato quanto, ad ogni modo, non si tratti assolutamente di mera propaganda. Il neo-presidente democratico, in carica da soli tre mesi, sta operando con efficacia e determinazione per rimettere in moto gli Stati Uniti con misure incisive come l’imponente piano di aiuti Covid da 1.900 miliardi approvato dal Congresso agli inizi di marzo.
A margine della videoconferenza, possiamo già intuire quanto le politiche ambientali dei singoli stati e delle loro comunioni di intenti in materia di salvaguardia ambientale condizioneranno profondamente l’industria delle materie plastiche, sia a breve che a medio termine.
Come detto, Biden si è impegnato formalmente a ridurre della metà le emissioni di gas serra degli Stati Uniti. Quali implicazioni potranno avere decisioni come questa ed altre ancora in termini di tutela dell’ambiente per l’industria delle materie plastiche all’atto pratico? Quali le ricadute sul tessuto produttivo americano, europeo, mondiale? Quale sarà il percorso che andrà intrapreso per arrivare ad un reale cambiamento?
Se lo è chiesto Paul Hodges, presidente di New Normal Consulting, in un recente articolo diffuso in rete. La risposta, inevitabilmente, è che l’industria delle materie plastiche sarà sottoposta a una forte pressione che ne determinerà una profonda trasformazione.
Per esempio, l’accelerazione che l’amministrazione americana intende dare allo sviluppo e alla diffusione dei veicoli elettrici implicherà che molte raffinerie si troveranno a chiudere e che molta parte degli idrocarburi non verrà più prodotta così come potrebbe avvenire per la nafta necessaria per le plastiche.
Allargando lo sguardo a tutti gli attori coinvolti, aziende e consumatori saranno sempre più connessi e consapevoli nella ricerca di soluzioni al problema dei rifiuti plastici. Una forte spinta verso il riciclo, esercitata anche attraverso un insieme di normative (obbligo di utilizzo dei riciclati, tassazione delle plastiche vergini, limitazioni alla vendita e all’esportazione) delle quali stiamo avendo un’anteprima in questi ultimi anni.
Mosso da queste premesse, Hodges formula pertanto alcune ipotesi. La prima è che il modello di business cambierà radicalmente e sarà guidato, anziché da un’offerta a basso costo, da una domanda basata su riciclo e riutilizzo.
Sarà fondamentale, prosegue Hodges, per il successo di questo nuovo paradigma di catena del valore circolare il raggiungimento di tassi di raccolta delle plastiche più elevati di quelli attuali, simili a quelli di altri materiali, come ad esempio l’acciaio e il vetro.
Ad esempio, in seno al progetto Holy Grail 2.0 della Commissione Europea, nato da un’idea appoggiata dalla Ellen MacArthur Foundation, decine di aziende stanno sperimentando nuovi contenitori con una “filigrana smart” che permetta di riconoscere i contenitori di plastica più facilmente. Riunire i principali produttori nell’adozione del watermark digitale, consentirà ai consumatori (domestici e industriali) di identificare facilmente le singole plastiche e realizzare una selezione accurata nel punto di raccolta. Una selezione più rapida ed accurata significherà naturalmente una migliore economia circolare.
Gli odierni centri di raccolta dei rifiuti diventeranno allora veri e propri centri di risorse, con strutture per il riciclo meccanico e soprattutto chimico. A breve termine, l’olio di pirolisi prodotto dal riciclo chimico sarà venduto come materia prima ai cracker degli impianti petrolchimici e la produzione di polimeri avverrà su base integrata insieme ai trasformatori che potranno avvalersi della stampa 3D per utilizzare le materie plastiche in modo circolare.
Hodges conclude infine affermando che l’industria della plastica dovrà muoversi rapidamente. Ha davanti a sé una grande opportunità per sviluppare, nei prossimi 12-18 mesi, un modello di business circolare nuovo e, probabilmente, altamente redditizio.
La parola d’ordine è soltanto una: non perdere tempo.