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vello di installazioni (ben 56, ndr) che fino a due anni fa sarebbero state improponibili. Ci siamo riscoperti più flessibili, più reattivi, ra- pidi nel rispondere alle esigenze dei clienti. Dalla nostra, abbiamo avuto il fatto che il riciclo si è dimostrato una volta ancora estre- mamente necessario, ancora di più durante questa pandemia poi- ché sono aumentate le produzioni di certi manufatti in conseguenza di una crescita nei consumi ad essi collegati. Per quanto riguarda le interazioni con il resto del mondo, paradossal- mente le distanze si sono ridotte. Se prima l’unico modo di gestire efficacemente i rapporti era il prendere un aereo ed andare a par- lare di persona, attualmente la tecnologia ci permette di fare più meeting con paesi diversi nella stessa giornata; da questo punto di vista, possiamo dire di essere diventati più internazionali. Le di- stanze si sono in questo senso ridotte un po’ per tutti, perché tutti in questa situazione siamo alla stessa stregua e ci sentiamo un po’ più legati gli uni agli altri. Anche per questo, al netto di tutto, io son comunque convinta che ne usciremo più forti di prima.
Appare evidente quanto far sentire la propria voce ed interagire con altre voci sia per te fondamentale. La domanda allora è: quale può essere un modo per dare più voce agli operatori nel campo del riciclo? Una rivista come rePlanet può servire a questo scopo?
Sicuramente io credo nella comunicazione, nei social ed in tutto ciò che nasce per fare comunicazione, magazine compresi. Negli ultimi dieci anni in azienda ho implementato moltissimo il lato co- municazione per poter meglio mostrare ai clienti chi siamo e quello che facciamo. Credo che magazine e social siano strumenti primari che ogni azienda dovrebbe inserire nel proprio budget e nella pro- pria visione, senza dubbio alcuno. La mia opinione sui magazine è che debbano trattare ogni aspetto a 360° e dare voce ad un settore come quello del riciclo che attualmente non è specificamente rap- presentato a livello di magazine. Sono estremamente favorevole e positiva in merito alla riuscita di una pubblicazione come rePlanet, poiché credo sia fondamentale avere una sorta di piattaforma di confronto, con interviste, argomentazioni tecniche, normative, ri- svolti sociali e comportamentali legati alla questione delle materie plastiche riciclate. Tutto ciò al fine di instaurare un circolo virtuoso, partendo dalla discussione tra tutti i soggetti coinvolti nel settore che, fino ad oggi, non hanno una “piazza” sulla quale incontrarsi per un dialogo costruttivo.
C’è un argomento in particolare del quale vorresti sentir parlare maggiormente?
Più che di un argomento, vorrei sentir parlare di più i riciclatori stessi. Avendo venduto molte macchine ai riciclatori, abbiamo avuto a che fare soprattutto con i capi produzione di queste aziende. Ecco, queste figure, al di là degli imprenditori e dei mana- ger che rappresentano l’immagine dell’azienda e ne sono deposi- tari, custodiscono un pozzo di scienza senza avere quasi mai voce. Quello che ho imparato negli ultimi anni lo devo essenzialmente a queste figure tecniche, troppo spesso nell’ombra. Vorrei si facesse qualcosa affinché non fosse più così.
Non possiamo allora fare a meno di chiederti: quali altri desideri, quali ideali modellano la tua etica lavorativa e quella della tua azienda?
Fimic crede molto nel lavoro di squadra, tutto quello che abbiamo realizzato negli ultimi dieci anni nasce da questo spirito. Quando siamo partiti eravamo in poche persone, ora siamo in trenta. Se non si crea squadra non si arriva ai risultati ottenuti, di questo ne sono assolutamente certa. Ho sempre creduto -e credo- nel fatto che l’essenza di Fimic non risieda in una persona sola, Fimic è un
insieme di persone che remano insieme verso la soddisfazione del cliente. Questo secondo me ha portato Fimic ad avere un posto di rilievo nel proprio settore: il cliente si sente seguito, ed è questo che io richiedo a tutti i miei collaboratori. Desidero che ognuno di loro veda in questa prospettiva il lavoro di tutti i giorni, perciò per me questo è il valore principale, credere nella squadra, credere nel gruppo. Il prodotto funziona se dietro ci sono delle persone che a loro volta funzionano all’interno del progetto di squadra, fino a dar- gli un enorme valore aggiunto.
Continuiamo a parlare di etica, però contestualmente al mondo del riciclo e all’approccio che le persone hanno ad esso. Come vedi le prossime generazioni?
Credo che gli anni duemila abbiano spinto ancora di più il consu- mismo. Questo si è tradotto, per mancanza di cultura e sensibilità, nel consumare e gettare anziché riutilizzare. Diciamo che il riciclo riprende una filosofia di molti anni fa: riparare qualcosa che non funziona. Naturalmente, ad oggi “riparare” certe cose risulta ancora non conveniente a livello economico e perciò poco sensato, però dobbiamo pensare che il riciclo porta risultati non solo a livello eco- nomico ma anche, e soprattutto, a livello ambientale. È una que- stione mentale: trovare valore dove invece qualche stereotipo ci direbbe che non ce ne sia, è un modello di business da insegnare, partendo assolutamente dalle nuove generazioni, già da bambini. Perché è proprio lì dove il bambino avrà un riscontro, dove troverà un qualcosa fuori dagli schemi, che sarà il successo di questo modo di pensare. Io insegnerei ad un bambino che riciclare significa pen- sare fuori dagli schemi, perché a fare un prodotto nuovo di zecca sono capaci tutti. Ancora più importante, allora, sarà dar vita a nuovi prodotti con la plastica riciclata e su questo noi dobbiamo puntare per i consumatori del futuro. Le nuove generazioni avranno il compito di raccogliere un’eredità importante e miglio- rarla giorno dopo giorno, compensando l’esperienza che ancora non hanno con la voglia di informarsi e prendere consapevolezza del fatto che è assolutamente possibile vedere un valore dove ora non c’è. Allo stesso modo Fimic ha fatto tesoro delle tradizioni, della maestria e del sapere che l’ha resa forte nel tempo ed oggi è una realtà giovane che guarda al domani con l’entusiasmo di chi vuole lasciare il segno. Il nostro pianeta, non dimentichiamolo, ha bisogno anche di questo.
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