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vativi, dobbiamo cercare continuità e concertamento in questa direzione. Occorre scardinare comunque tante con- vinzioni: il pensiero che quando il prodotto esce dallo sta- bilimento non sia più un problema di chi l’ha realizzato è un approccio completamente sbagliato. A livello dell’utilizza- tore finale non può esserci lo stesso tipo di cultura specifica come quella che risiede in un operatore di settore; a mag- gior ragione è proprio l’operatore del settore che deve ado- perarsi per creare un imballo che abbia un valore aggiunto in termini di riciclabilità. Questa è la sfida, perché ovvia- mente l'approvvigionamento di scarti potrebbe diventare critico nel momento in cui non si sta attenti a come si pro- gettano le cose, Si tende spesso a parlare di plastica, ma c’è plastica e plastica.
Ripensare il ciclo di vita della plastica dall'inizio, piuttosto che mettere la responsabilità nelle mani dell’ultimo attore coinvolto, presuppone un incontro-scontro con molteplici resistenze ed ostacoli. Nel caso di Infinito, quali sono le dif- ficoltà sperimentate nel mondo del riciclo?
Attualmente, gli ostacoli maggiori verso un’espansione -e quindi un aumento di produzione- che implica un aumento di materiale riciclato, sono principalmente a livello legisla- tivo e burocratico.
Lunghe trafile quindi, tempi burocratici non allineati con le rapide tempistiche dello sviluppo?
Sì, lunghe trafile per ottenere il permesso per aumentare, anche banalmente, la capacità produttiva degli impianti. Ci siamo passati nel 2017 ed abbiamo vissuto sulla nostra pelle, oltre alle nostre difficoltà oggettive, la difficoltà da parte dei fornitori di approvvigionarci nelle more degli iter autorizza- tivi. Queste difficoltà burocratiche hanno rischiato di bloc- carci e lo stesso rischiavano di fare, in generale, con il circuito del riciclo dei rifiuti poiché ogni passaggio nella filiera è con- nesso a quello successivo nonché a quello precedente. Noi ricicliamo 3000 tonnellate l'anno di rifiuti plastici: per quanto sia una goccia nel mare, se l'azienda rimane ferma, sono pur sempre 3000 tonnellate che non vengono riciclate oppure vengono riciclate in ritardo.
Gli accadimenti degli ultimi 12 mesi, con la pandemia e tutto ciò ad essa connesso, hanno imposto dei cambia- menti nel vostro modo di operare?
Grandi contrazioni a livello del volume di lavoro non ne ab- biamo avute. Il nostro materiale ha come applicazione finale preminente il sacco per l’immondizia e questo mercato non ha subito nessun tipo di calo, poiché la filiera della grande distribuzione è rimasta aperta e le nostre esportazioni sul mercato nazionale non hanno subito limitazioni. Ciò che si-
curamente stata azzerata è la possibilità di andare fisica- mente a vedere il materiale per gli approvvigionamenti, spe- cialmente all'estero. Il rifiuto, infatti, quasi mai è valutabile in maniera semplice con una fotografia, tanto meno con una telefonata. Tutto sommato però, fatta eccezione per l’impos- sibilità di mantenere contatti personali e comunicare di per- sona con i vari interlocutori, a livello di attività industriale parlerei di un impatto della pandemia relativamente conte- nuto.
Posto che, al netto di ciò che ognuno di noi si auspica in merito alla fine di questa congiuntura, i contatti e la co- municazione sono stati largamente limitati, ritiene che un magazine come rePlanet possa essere un valido stru- mento per dar voce agli operatori del riciclo ed essere un modo nuovo per tenersi in contatto?
Certamente sì. In questo momento è difficile avere un rap- porto che vada oltre la telefonata oppure la videochiamata; anche il fatto che non ci siano le fiere di settore è limitante perché tanti rapporti lavorativi si perfezionano ancora con la classica stretta di mano, con la necessità di spendere ma- gari del tempo davanti ad un caffè e si creano ancora così molte opportunità. Il mondo del riciclo è un settore che non è così quadrato, nel quale l'aspetto umano conta ancora molto, a volte moltissimo. Avere in supporto uno strumento, un canale, che permette di capire la visione delle aziende e delle persone che le compongono, consente di avere stimoli e di avere a volte anche delle intuizioni semplicemente leg- gendo quello che pensa un'altra persona. Al momento nel panorama non c'è qualcosa di simile, quindi reputo che possa essere una novità positiva e soprattutto utile.
In merito agli sviluppi futuri da lei auspicati per il mondo del riciclo, ci sono argomenti dei quali ritiene non si parli a sufficienza e che dovrebbero avere maggior approfon- dimento, magari proprio su rePlanet?
Più che argomenti di cui non si parla o si parla poco, a mio avviso servirebbe mettere un po' d'ordine a beneficio del grande pubblico, del consumatore finale. Sono le nuove ge- nerazioni a dover assimilare il concetto che la plastica non è da demonizzare; è l'uso che ne facciamo e come affron- tiamo il problema dello spreco e del non riciclo. I sacchetti di plastica non hanno le gambe per andare in mare da soli, questa cosa è tanto ovvia quanto non è ancora stata se- condo me sufficientemente sottolineata, perché secondo me non viene fatto in maniera semplice e chiara: la plastica da sola non fa niente, è un materiale inerte. Inquina chi butta la plastica nel mare e, a suo modo, potenzialmente inquina forse anche chi non pensa che un prodotto in plastica, com- posto da dieci tipologie di plastiche diverse, come fine ul-
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